Il Viaggio in Sicilia di una siciliana- Palermo, i mercati

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La Vucciria. Mi faccio spazio dentro un quadro di Guttuso: la Vucciria è ciò che Palermo è e sarà per sempre, vivida, spudorata, colorata.

Il signor Andrea è un vucciurioto doc. Lo trovo seduto su una sedia di plastica bianca, spaparanzato, davanti la porta della sua putìa, a piazza Garraffello. Nei suoi occhi si legge la fierezza per l’appartenenza a Palermo, alla Vucciria e a Santa Rosalia.

Si diçeva ai suoi tempi, diçi ‘quanno ti šposi?’ ‘quanno asciucano i bbalati râ Vuccirìa’. perchè prima i bbalati râ Vuccira un’asciugàvanu mai. Diçi ‘no mmi šposo mai’. Automaticamente, ora, i bbalati râ Vuccirìa sono completamente desolati, perchè no cci sono più. Sono completamente asciugate. (.) si šposano tutti.

E a Santuzza, per il signor Andrea, diventa motivo di rivalità religiose e odi atavici, specie se messa a confronto con u crucifisso dei vicini, nemici monrealesi.

Sì, noi abbiamo Santa Rusalia che cci guarda a tutti+ cci siamo?+ però:: il Santo di Murriali si cala a facci n-tìeṛṛa pûn taliari i murrialisi. perché, se tu guardi, u Santu i Murriali, non guarda a nnessuno in faccia. u Santu i Murriali si cala a facci n-tìerra, pûn taliari i murrialisi nta facci. è un špottimìento che abbiamo.

Il signor Emanuele è il proprietario di una carnezzeria del quartiere. Esce fuori, accende una camel light, e si toglie il grembiule da lavoro. Ora, è pronto per l’intervista: avete un soprannome per i catanesi? C’è grande rivalità, anche calcistica.

E nno, lì cci-era un detto che diçeva+ cci-era un pescivèndolo che vendeva i pesci, e cci-era u catanisi che passava, e gli diçeva+ cci aveva i soldi im-mano, così, e cci riçeva ȏ paleimmitanu ‘dammi un chilo i pisci’, i soldi erano falsi, e u paleimmitanu cci riçeva ‘ȏ mançiari ti vùojjio’, arrišpunneva u catanisi ‘ȏ šcançiari ti vùojjio’, quanno cci rava i sordi. Quešto era un detto (.) di šcalṭṛezza uno col-l’altro.

La signora Maristella, invece, ha le mani e le braccia piene di sacchi della spesa appena fatta proprio qui, alla Vucciria. È incuriosita dalle mie domande rivolte ai venditori della zona, e vuole delucidazioni. Le do spiegazioni, ma è un do ut des: adesso tocca a lei rispondere!

Cu veni n-Palermu e un viri Murriali, veni crištianu e torna armali.

Mi sussurra questa frase a mezza voce, distratta, nell’immediato, dal viola intenso della melanzane tunisine che ne catturano l’attenzione, ipnotizzandola. E scompare, inghiottita da quella schiettezza fragorosa che è la Vucciria, risucchiata dalla tela con i suoi colori sanguigni, come la donna di spalle del crudo realismo di Guttuso.

Il Capo. Ognuno dei cinque sensi è inesorabilmente coinvolto e stravolto nell’esplorazione del Capo, a Palermo. È un’orgia di odori acri, intensi, nauseanti, inebrianti, di sapori nostrani, veraci. È un’amalgama di corpi a contatto, che si scontrano, spalla a spalla, nell’impresa della traversata. E, ancora, mani che sfiorano ortaggi, strette di mani. Ed è impossibile, per la vista, contenere tutti i colori della merce esposta sui banconi, dei tendaggi, delle luci, dei vestiti che si sfiorano, i colori del degrado, anche. Ed è un sovrapporsi di suoni, voci, urla, rumori, che cattura, frastorna.

Il signor ‘Gnazio è un celebre pescivendolo del mercato: parliamo a lungo.

A Ppalermo cci-è un vecchio detto che si diçe, murrialisi chȋ coinna tisi, e paleimmitani chȋ coinna m-manu.

Mima le corna con la mano, indice e mignolo alzati, con insistenza, quasi a voler rendere più esplicite le parole, fornendogli consistenza plastica, scandendole, per non sciuparle. Ha cura di ogni sillaba, come vittima di un improvviso barlume di inconsapevole coscienza della preziosa bellezza della lingua, ne diventa parsimonioso. Ma non mi risparmia gesti: parole accompagnate da movenze, come in una traduzione simultanea, sguardi d’intesa.

Capito? però, signorina, lei di šti cùosi avi a ppaṛṛari cûno cchiù bìecchiu.

E mi indica l’anziano dirimpettaio, venditore di frattaglie, che, fin’ora, se ne era stato ad ascoltare in silenzio.

Lei se ne ricorda altre? A Štu minutu, no.

Qualcosa su Santa Rosalia, per esempio, se la ricorda?

Nuaṭṛi avemu sulu Santa Rusulìa. viva Palermo e Santa Rrusulìa, a parola chišta è, non cci-è aṭṭṛa parola.

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