Ragusa, si sviluppa su tre alture separate dai solchi delle cave di S. Leonardo a nord, e di S. Domenica a sud.
L’aspetto barocco della città, dovuto alla ricostruzione dopo il terremoto, costituisce l’elemento unificante delle due realtà urbane venutesi a creare dopo il sisma: Ragusa inferiore (Ibla), ricostruita su se stessa, e Ragusa superiore, interamente pianificata secondo una scacchiera regolare, sulla collina del Patro.
Una delle caratteristiche di Ragusa è quella di essere separata in due territori da un vallone sul quale sorgono tre ponti: il Ponte Vecchio, il Ponte Nuovo e il più recente Ponte San Vito.
La Cattedrale di S. Giovanni è una delle più grandi chiese della Sicilia e possiede una facciata maestosa ed è caratterizzata da un alto campanile, mentre all’interno c’è un organo del 1858.
Oltre alla cattedrale meritano una visita: la Chiesa di Santa Maria delle Scale, ricostruita dopo il terremoto in stile barocco, conserva pregevoli opere di artisti locali; la Basilica di San Giorgio, terminata nel 1775 e caratterizzata da una cupola alta oltre 40 metri, che è sostenuta da 16 colonne; il Palazzo Casentini e il Palazzo Bertini, entrambi in stile barocco, furono realizzati sul finire del XVIII secolo; il Museo Archeologico Ibleo, in cui è possibile ammirare e scoprire i tanti reperti che raccontano la millenaria storia di Ragusa.
Ragusa è entrata nel 2002 nella Lista dei Beni Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco.
Il Duomo di Ragusa Ibla
Il Duomo di San Giorgio si erge nel cuore di Ragusa Ibla.
Antica chiesa madre della città prima del 1693, sorgeva all’estremità est dell’abitato, nei pressi dell’attuale Giardino ibleo.
La chiesa fu gravemente danneggiata dal terremoto del 1693 e ricostruita nel 1738 su progetto di Rosario Gagliardi (architetto di Noto, uno dei protagonisti della ricostruzione barocca) e terminata nel 1775.
La prima pietra fu posta il 28 giugno del 1739, come ricorda una lapide murata sul lato destro della scalinata, e tuttavia un’iscrizione posta sul lato opposto, ci rammenta che i lavori poterono cominciare solo nel 1744.
Il 5 ottobre 1775, con la salita delle campane, si conclusero i lavori della facciata. Quest’ultima, di natura imponente, è articolata in tre ordini scanditi da cornicioni aggettanti. Secondo tradizione la cupola, alta 43 m e con un giro di colonne nel tamburo, sarebbe stata progettata e realizzata nel 1820 dal capomastro ragusano Carmelo Cultraro, su modello di quella del Pantheon di Parigi, ma recenti studi e riscontri archivistici ne assegnano la paternità all’architetto Stefano Ittar. Il cancello di fero battuto che chiude la costruzione è del 1880.
La chiesa è collocata al termine di un’alta scalinata e la posizione obliqua rispetto alla piazza sottostante ne accentuano l’imponenza e gli effetti plastici, creati da una lieve convessità del partito centrale e dalla presenza delle colonne libere. Due coppie di volute fanno da raccordo tra i diversi livelli ospitando, rispettivamente, le statue di San Giorgio e San Giacomo in basso, e quelle di San Pietro e San Paolo in alto.
L’interno, a croce latina, con le braccia chiuse da profonde absidi semicircolari, è diviso in tre navate da dieci robusti pilastri di pietra, con un’ampia zoccolatura in pece. Gli intagli che decorano il cornicione e i capitelli dei pilastri furono realizzati tra il 1779 ed il 1781 da scultori ragusani. Nel 1926 vennero realizzate le sue splendide vetrate istoriate che illustrano rispettivamente: i martiri di S. Giorgio, l’Immacolata; la Gloria di S. Nicola, un Angelo Custode e S. Gaudenzia.
Nell’incrocio del transetto con la navata centrale, si eleva una cupola di gusto neoclassico, a doppia calotta, poggiante su due file di colonne. Nelle cappelle delle navate laterali si trovano tele di alcuni dei più celebri artisti del settecento siciliano: Vito D’Anna, Antonio Manno e Giuseppe Tresca.
Sopra le porte laterali sono conservati i due simulacri che vengono portati in processione per le strade, durante la festa patronale di San Giorgio: la statua del Santo a cavallo opera dello scultore palermitano Girolamo Bagnasco, che la realizzò nel 1874, e la grande cassa-reliquiario in lamina d’argento, del 1818 a opera dell’argentiere palermitano Domenico La Villa. Sulla navata centrale prospetta il grande organo (1887) a 3368 canne, chiamato appunto Organum maximum.
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